
By Mario Dal Pra, E. Colombo
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46 1 Cosa sarebbe scrivere d ’arte, di critica, se non fosse in pari tempo scrivere della ‘ vita ’? L a qualità predominante del critico è la timidezza: e la vita, con le sue forme esasperate, con la sua assenza di confini precisi, sembra fatta apposta per irritare il suo pudore invincibile. Poi la considerazione del la vita ci richiama immancabilmente a noi stessi: e resta così aperta la strada ad ogni sfogo diretto, vie ne cancellata ogni ‘ distinzione ’ nei due sensi della parola. Le figure deil’arte sono la vita conclusa e placata, il suo gusto acre ridotto in fiala, i suoi fan tasmi disposti in una cerchia d ’immagini consolatri ci, dalla quale non si vorrebbe più uscire.
Fiammeggiano tra le foglie di una siepe lustra e verde, e una grande casa massiccia di campagna è sullo sfondo, chiuse le verdi imposte. Quel senso medianico di struggente pace m’invade ancora, quei fiori sono come il segno di un mondo sommerso in una luce fissa e dorata, oltre il tempo, di cui non riesco a trovare la chiave, ma che pre sento, oltre il breve spiraglio. E mi pare che l’arte non sia nulla ove non si leghi a questa distensione profonda del senso, a questo sonno del pensiero, ritrovamento di radici remote: a questo barlume di infanzia rinata.
Certamente i morti continuano a vivere oltre la tomba, e la luce eguale dell’Eliso circonda per sem pre il loro dialogo immobile. Nel silenzioso viaggio della memoria, attraversate le pigre acque del son no, in cui marcisce il loto, giungiamo talvolta alle pallide dimore dove si aggirano le care ombre, le lungamente amate, e le interroghiamo. Ma i morti, per noi viventi, non hanno che rimproveri. Essi sanno troppo bene che il fatto stesso che noi vivia mo non riesce che a continuamente ucciderli, d ’at timo in attimo, e a risospingerli nel loro esilio : nul la è più dolente del loro vuoto sguardo di sepolti.