
By Paolo Sacchi, Fulvio Franco
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Sample text
Don Angel Cruz ci cantò Trionfi Amore di Gluck, e i cantanti mariachi fecero un pregevole lavoro come coro del suo Orfeo. Trionfi Amore! E il mondo intiero Serva all'impero Della beltà. L'infelice conclusione della storia di Orfeo, Euridice perduta per sempre a causa dell'occhiata che Orfeo si getta alle spalle, è sempre stata un problema per i compositori e i loro librettisti. �Ehi, Calzabigi, cos'è questo finale che mi avete dato? Che strazio! E io dovrei mandare la gente a casa con un muso lungo come un wurstel?
La nota, la scala, l'accordo; arie, armonie, arrangiamenti; sinfonie, raga, opere cinesi, jazz, i blues: che queste cose esistano, che si siano scoperti i magici intervalli e le distanze che produce un misero pugno di note, tutte racchiuse nella mano di un uomo, con le quali possiamo costruire le nostre cattedrali sonore, è un mistero alchemico come la matematica, o il vino, o l'amore. Forse ce l'hanno insegnato gli uccelli. Forse no. Forse siamo solo creature in cerca di elevazione. Che non abbonda, diciamo la verità.
La distilleria di Angel fu una delle prime a soccombere a questa fustigazione. Il legno vecchio si spaccava, il metallo nuovo si piegava e si fendeva. Il fiume urinoso di tequila invase schiumando le vie della città, l'ondata del torrente raggiunse la popolazione che fuggiva e la mandò a gambe all'aria, e tale era la potenza del liquore che quanti inghiottirono qualche boccata di quell'angelica spuma vennero a galla non soltanto bagnati e boccheggianti, ma ubriachi. L'ultima volta che lo vidi, Don Angel Cruz correva a destra e a manca nelle piazze allagate dalla tequila con un tegame in mano e due pentole legate al collo, cercando penosamente di salvare il salvabile.